In occasione del Secondo anniversario della morte di S.E. Mons. Luigi Martella pubblichiamo, grazie alla cortese concessione della redazione di Luce & Vita (settimanale di informazione nella Chiesa di Molfetta-Ruvo-Giovinazzo-Terlizzi), il ricordo di don Vincenzo Turturro, suo segretario dal 2002 al 2006.
“Caro don Gino,
avrei voluto salutarti prima della tua partenza. Non ho potuto farlo, tanti chilometri ci dividevano. Non sono neanche riuscito ad arrivare in tempo per stare con quella Chiesa che ti rendeva il doveroso omaggio: molti si accorgevano già allora della veracità delle parole che avrebbero poi letto nel tuo testamento (“Credo e amo la Chiesa di cui spero di essere una minuscola ma vivida scintilla”). Non sono arrivato in tempo, faccio sempre tardi. Ricordi quante volte mi hai ripreso per questo? Ora sorrido, ma qualche anno fa le tue parole facevano tremare quel giovane prete che faticava per tenere il passo di un vescovo che correva. Da poco eri entrato a far parte della nostra Diocesi, avevi bisogno di conoscere le mille bellezze della Chiesa che la Provvidenza affidava alle tue cure. Vi entravi in punta di piedi, con la tua innata discrezione, rispettando un territorio che desideravi abbracciare, amando un popolo che volevi servire. Ci sei riuscito in pieno, caro don Gino. Anche se quella stupenda cadenza leccese non siamo mai riusciti a fartela perdere.
Lo scrivere di quel tempo mi pone sul cuore un velo di tristezza, non posso nasconderlo. In casi come questo sono solito prendere il Vangelo per capire cosa voglia dirmi il buon Dio. Leggo la bellissima opera d’arte delle Beatitudini: scorrendo quei versetti ripercorro alcuni tratti della tua personalità.
“Beati i poveri in spirito; beati gli afflitti”. Ai non addetti ai lavori potrebbe apparire un gioco di parole, ma vi è un abisso tra la “Chiesa per i poveri” e la “Chiesa con i poveri” a cui tu preferisci puntare. È la differenza che passa tra l’avere e l’essere, tra l’indice puntato e la carezza premurosa, tra il dover fare a tutti i costi e l’amare senza misura.
“Beati i miti”. Penso alla mitezza come all’espressione più audace della tua spiritualità: la mitezza che si accorda sulle note del servizio per farsi obbedienza, che cammina con la gentilezza per farsi dolcezza, che si lascia guidare dall’allegria per farsi sorriso. Quella mitezza – è evidente – affonda le radici nell’humus del caro Salento. Quando ho avuto la gioia di visitate quella tua terra accogliente, di incontrare la tua famiglia dolce, di entrare nella tua chiesetta graziosa, di nuotare nel tuo mare cristallino, di gustare la pasta fatta dalla tua amata sorella… ho iniziato a conoscere il mio vescovo.
“Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia”. Dopo aver letto questo versetto inizio a darmi da fare per scegliere ciò che è giusto ed evitare ciò che è sbagliato. Come sempre, finisco per confondere la Parola di Dio con le parole umane. Poi leggo ciò che è scritto sul tuo stemma, “Propter nomen suum” e ricordo che avere fame e sete di giustizia significa voler compiere la volontà di Dio. Custodisco nel cuore i racconti degli anni vissuti nel tuo paese, del tempo trascorso con i ragazzi del Liceo di Maglie, del servizio reso nella parrocchia di Castro. E poi, per fare la volontà di Dio, hai accettato di servire la nostra Diocesi. Hai compiuto la Sua volontà “per amore del Suo nome”, per essere quella “minuscola ma vivida scintilla” della Chiesa che sempre hai amato, nonostante i sacrifici che l’Amore impone.
“Beati i misericordiosi; beati i puri di cuore”. Gli occhi del Padre misericordioso si sono posati sulla tua bontà. Quella bontà con cui riesci a dare profondità alle cose. Ho imparato che la bontà e la tenerezza permettono ai credenti di scorgere la presenza del Padre amorevole negli accadimenti quotidiani e ai non credenti di continuare a sperare. Credo sia questo il motore della tua spiritualità di padre e pastore. Ti confesso che devo camminare parecchio nella sfida che mi lanci: avvertire la presenza di Dio in ciò che vivo ogni giorno.
“Beati gli operatori di pace”. Una volta hai detto che “le persone vanno aiutate a compiere i passi della fede”. Oggi quelle parole risuonano come un invito a rispettare tutti, a servire ogni persona che percorre il suo sentiero, unico, meraviglioso. Hai ragione: per costruire la pace ognuno deve riscoprirsi “fontana inesauribile, capace di parlare il linguaggio della gente e riuscire a convincere con la trasparenza della propria testimonianza”. Così mi inviti a fare. Così fai tu.
“Beati i perseguitati per causa della giustizia; beati quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia”. Intelligenti pauca. Però una parola la voglio aggiungere: scusa. Scusami per le volte in cui non ho avuto il coraggio di farmi avanti, di espormi, così che quella “piccola scintilla” continuasse ad essere “vivida”.
Domenica scorsa sono stato con un gruppo di emigrati molfettesi de La Boca. Mi chiedevano di te. Ho detto loro che sei felice. Sono certo di aver detto la verità.
Ciao don Gino. Ti voglio bene!”
(Interamente tratto Da Luce e Vita, n.26 del 25 giugno 2017″).
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